Sguardi dalla periferia del lavoro – Recensione di Marianna Benini a lavoro inestimabile di Pascale Molinier

Potente fattore di gerarchizzazione, il lavoro di cura ‒ come concepito all’interno del sistema capitalista patriarcale ‒ mette in fila i suoi livelli di oppressione: degli uomini sulle donne in primo luogo, ma anche, e questo è il punto forte dell’argomentazione del libro di Pascale Molinier, delle donne tra loro.
Riprendendo alcuni elementi del pensiero di Carol Gilligan sulla dimen-sione etica della cura, in particolare nel punto in cui la filosofa americana afferma che «la capacità di preoccuparsi per l’altro non è né maschile né femminile», Pascale Molinier smonta molti dei pregiudizi legati al lavoro di cura e del lavoro domestico, non solo quelli dipendenti dalla variabile genere, ma anche a tutte quelle questioni complesse che intrecciano il tema della razza e della classe. A prescindere dal genere dei soggetti che lavorano, l’autrice si sofferma con particolare efficacia sull’indifferenza che viene riservata a chi si occupa della cura nella sua dimensione salariata e presenta un “tuffo” nella sua ordinarietà, rivelando un mondo teso, intessuto di rap-porti di forza, servitù, irritazione e stanchezza. Molinier riassume in modo assai chiaro ed efficace la conflittualità intrinseca di un lavoro che viene da-to per scontato e ridotto a una lista di mansioni quotidiane e che però con-tiene anche una componente affettiva assai difficile da descrivere, quantificare e rendere esplicita.
In Occidente è stata costruita una catena della cura per cui ci sono altre donne ‒ migranti spesso ‒ che hanno preso il posto dei/delle parenti accanto ai cari in condizione di dipendenza delle famiglie e a loro sono state trasferite mansioni che presentano aspetti di affettività e di amore che non hanno nulla a che fare con il “lavoro salariato”.

All’interno di queste pagine Molinier fa, ad esempio, incontrare ai lettori persone – quasi tutte donne ‒ che lavorano in una casa di cura, Villa Pleni-tude, che ospita residenti affetti da demenza senile e morbo di Alzheimer. Attraverso la voce di chi si prende cura di questo tipo di pazienti ‒ dalla di-rigenza medica fino all’addetta alle pulizie ‒ Molinier mette in contatto con parole, immagini e suoni della cura cui non si è abituati e che forse nemme-no si vogliono vedere né sentire. Parlano le infermiere e le assistenti, che non provano alcun piacere nell’accudire quei pazienti, che possono benis-simo essere i cari di ciascun lettore, e quando devono prestare quell’attenzione particolare che la cura richiede, lo fanno dettate dalla paura del licenziamento o dalla preoccupazione di “fare il proprio dovere” ed es-sere lasciate in pace, a fronte dello svilimento, della stigmatizzazione e dell’umiliazione cui sono continuamente sottoposte; parlano le psicologhe che devono recuperare la carta igienica nonostante non rientri nelle loro mansioni, ma che se ne occupano perché è molto più facile non seguire fe-delmente la catena di cura a cui sono sottoposti i pazienti che gestire le fa-miglie degli stessi. Nel riportare a un orecchio non abituato le voci di chi compie questo tipo di lavoro di cura, l’autrice costruisce immagini e suoni che stridono con le parole della consuetudine. Quel lavoro ha un odore e un sapore, delle immagini. Stride con ciò che viene descritto asetticamente come lavoro riproduttivo, salarizzabile, e che si pensa possa stare al pari del pulire una casa o curare un giardino.
Pascale Molinier alla fine della sua trattazione, propone come soluzione a queste contraddizioni del sistema capitalistico in cui tutti e tutte sono im-mersi un deciso cambio di paradigma, sostenendo la necessità di uno spo-stamento dell’epicentro attorno a cui ruota la società, cioè il passaggio ad un sistema centrato realmente sulla condivisione della cura. Una sorta – più che di “etica della cura”, o un’etica del lavoro ‒ di “nuova etica sia produt-tiva che riproduttiva” fondata sulla preoccupazione verso gli altri, ipotiz-zando una società del benessere, dell’interdipendenza, in cui l’accento pre-valente è posto sul beneficiare tutti e tutte in momenti diversi della vita, del-la cura.
Tuttavia, chiarisce bene Molinier, nello spostamento da una società che si concentra sul lavoro e sulla produttività ad una dedicata al benessere ‒ inteso in senso ampio ‒ delle persone, servono maggiori attenzioni ai biso-gni e serve la capacità di trattare ogni persona che rientra a fare parte del processo del “care” come persona a tutti gli effetti, con tutti i suoi desideri e bisogni e non considerando, quindi, solo i benefici diretti. Il lavoro ripro-duttivo non è un processo tramite il quale, sottolinea Molinier, si trattano le persone tutte nello stesso modo, ma in quanto processo dinamico e sociale vuole includere tutti i gruppi sociali e i singoli individui presenti nella so-cietà. Per ottemperare a ciò bisogna riconoscere però la diversità dei biso-gni. È possibile che questo avvenga senza quella parte della cura che impli-ca l’affetto? che valore avrebbe quel lavoro senza la parte emotiva che è in-trinseca a quel tipo di relazione?, si chiede Molinier, che tocca anche tema-tiche come de-gerarchizzazione, de-specializzazione o de-professionalizza- zione della cura, nella misura in cui queste strutture rigide hanno ostacolato la sua “erogazione” più di quello che uno schema libero, in cui qualsiasi persona che non possiede capacità o competenze particolari, potrebbe fare.
Poiché del “care” non hanno bisogno solo alcune persone in particolare, sottolinea l’autrice, ma la società tutta indistintamente, e non ci sono delle competenze o delle caratteristiche distintive che certifichino la capacità di alcune persone ‒ e soltanto le loro ‒ di occuparsi e preoccuparsi per qual-cun’altra/o, ciò che appare urgente fare, sostiene Molinier, è realizzare una trasformazione politica dello sguardo che normalmente viene posto all’intera dimensione del lavoro e anche al valore che ad esso è attribuito, ponendo il “prendersi cura” al centro di ogni riflessione ‒ anche etica ‒ sul-la dimensione generale della convivenza – ipotizzando la creazione di una sorta di “società della cura” contrapposta al “neoliberismo” e al suo nucleo morale basato sull’autonomia e sulla prestazione del singolo.
Il merito del lungo e profondo lavoro teorico sul tema della cura dei femminismi è di aver fornito una lente critica particolarmente potente con la quale leggere la realtà contemporanea: la lente della vulnerabilità, della dipendenza e dell’interdipendenza non solo dei soggetti in condizione di dipendenza, ma anche di coloro che la erogano. Secondo Molinier, infatti, «Il “care” è cattivo se nuoce a chi lo fornisce» (p.128) e con questo suo libro compie uno sforzo di chiarezza per dimostrare come e quanto il lavoro di cura sfugga in realtà alle leggi del capitalismo e del valore che viene attribuito ad ogni merce, definendolo per questo “inestimabile”.

Autori

Marianna Benini