Introduzione al tema. Spazi, tempi e utopie del (non lavoro). Scenari da un mondo precario, sfruttato, gratuito, indesiderato

Cosa sta accadendo al lavoro?

La domanda certo non è nuova (Marazzi, 2022), ma le misure intraprese dai governi per far fronte alla diffusione della pandemia di Covid-19 hanno aperto scenari imprevisti, forse capaci di rimescolare le carte da lungo tempo sul tavolo. L’improvvisa sovversione dei ritmi e dei tempi di ciascuno è stata acceleratrice e rivelatrice di fenomeni altrimenti difficilmente osservabili nella dimensione sociale, ma probabilmente già presenti in qualche traiettoria individuale. I lockdown della prima fase di pandemia sembrano aver aperto uno spiraglio attraverso cui per molti, non certo per tutti, anzi, è stato possibile vedere ciò che da generazioni non era più stato sperimentato: un tempo senza lavoro né consumo. Quasi un richiamo a quell’otium degli antichi che nel corso della storia e con l’avvento del capitalismo, trasformato in ozio, è stato violentemente osteggiato:

«Marx ha limpidamente e convincentemente sostenuto che non è possibile, nel mondo capitalistico, alcuna cultura dell’ozio ‒ nel senso positivo della cura‑di‑sé, della libera ricerca intellettuale, della autonomia dell’arte ecc. ‒ se non si disinnesca prima il meccanismo sociale dello sfruttamento a fini di profitto del lavoro manuale ed intellettuale» (De Martino, 2007: 14).

Addirittura, oggi, su chi resta fuori da questo meccanismo, viene scaricata la colpa dell’essere ozioso e cioè «lo scansafatiche, il fannullone, il disoccupato, addirittura il povero (inteso come colui che si sottrae al lavoro per vivere di espedienti)» (Ivi: 9). Di cos’altro parlano le retoriche che hanno informato le politiche sul lavoro e le misure per il contrasto alla povertà, finanche la strutturazione del Reddito di Cittadinanza (Ciccarelli, infra), se non di victim blaming?

Fin dalla crisi economica degli anni Dieci si racconta dei giovani choosy e della necessità di norme “spazza divani” radicando l’idea che chi non lavora o vive in condizioni di povertà, tutto sommato, pigro e non meritevole lo sia davvero (Fana M., Fana S., 2019), Ma basta guardare ai dati di uno studio europeo del 2019 per scoprire come il fenomeno dell’in-working poverty stia dilagando anche in Italia (Raitano et al., 2019). Neanche più chi vende la propria forza-lavoro si vede corrispondere un salario sufficiente a superare la soglia di povertà[1] e quando questo viene denunciato, la vulgata a cui viene dato spazio è che la colpa sia del Reddito di Cittadinanza, non dello sfruttamento insito nel sistema capitalistico.

Viene a galla, insomma, l’insostenibilità di quella forzatura che vuole sovrapponibili lavoro e vendita della forza-lavoro. Nelle cronache giornalistiche e nel discorso pubblico occidentale la si racchiude nelle Grandi dimissioni (Coin, 2021; Jaffe, 2022) ‒ così viene definito il fenomeno per cui un sensibile numero di persone si dimette volontariamente dal lavoro per ragioni ancora oggetto d’indagine ‒, e nel rifiuto dello sfruttamento del lavoro che, in Italia in special modo, è emerso in riferimento ai servizi soprattutto turistici (Fana, 2019; Bonet, 2021; Albert et al., 2021).

Questi che appaiono come due lati della stessa medaglia, sono fenomeni che necessitano di approfondimenti sul medio periodo, di raccogliere dati fondati e sviluppare ricerche utili a coglierne la portata[2]: siamo davanti a un rimbalzo occasionale dovuto alle contingenze oppure si sta aprendo uno scenario imprevedibile nel conflitto tra capitale e lavoro?

Ciò che a prima vista sembra prendere forma è però un’ondata di rifiuto di quell’etica del lavoro e del sacrificio, dell’ideologia del merito, di quell’economia della promessa di cui le crisi socioeconomiche degli ultimi quindici anni e ‒ in ultimo ‒ la pandemia hanno svelato il bluff. È quella che Coin definisce «cultura tossica del lavoro» (2021) che rende il lavoro così come lo conosciamo una dimensione da rifuggire per il bisogno di rallentarne i ritmi iper-accelerati, incompatibili con la salute e il benessere individuale e collettivo[3]. Come ripetutamente argomentato (Fumagalli, Vercellone, 2020; Morini, 2022), «l’esistenza tutta è diventata il nuovo orario in cui prestare servizio» (Giovannelli, 2020) e vita e lavoro sono ormai avvinti indistricabilmente, dentro fabbriche, città e famiglie talvolta smaterializzate, ma sempre intersecate le une alle altre. Ed è questa inscindibilità tra soggetti incorporati e lavoro a rendere necessaria una sistematizzazione dei piani che si intrecciano cui, con questa raccolta di contributi, proviamo ad avvicinarci.

Per cogliere la realtà e le sue linee di fuga, diventa imprescindibile spostarsi dal lavoro in sé per guardare alle persone e al loro contesto di vita, trascinando, in questo slittamento concettuale, anche tutte le dimensioni collegate. Pensando al diritto al lavoro, ad esempio, non si può non cogliere quanto esso intersechi la dimensione più ampia dei diritti sociali e, in particolare, del diritto alla salute (del corpo e dell’ambiente in cui i corpi si muovono – nei luoghi di lavoro, ma anche nei contesti urbani e nella casa) e del benessere inteso come «stare in una posizione confortevole» rispetto al godimento dei diritti di libertà, parte imprescindibile del concetto di cittadinanza (Del Re, 2022).

Certo, è uno sforzo di complessità difficile da tradurre nella quotidianità, eppure ‒ come nel caso della Gkn ‒ vi sono lotte autorganizzate capaci anche di respiro biopolitico, che superano logiche lavoriste per rivendicare diritti per i soggetti in quanto tali, non (solo) in quanto lavoratori/trici (Ghidini, 2021; Longo, 2020). Questa stessa articolazione di pensiero viene invece a mancare nei contesti sindacali classici che ancora stentano a riorganizzare la tutela dei diritti dopo la fine della contrattazione collettiva, probabilmente anch’essi travolti dalla crisi sistemica della rappresentanza.

Come accennato in apertura, i pensieri iniziali che hanno portato ad aprire qui questo dibattito, sono situati nella pandemia. Un periodo ricco di contraddizioni con paure profonde e sfiducia nel futuro che si intrecciano continuamente con accelerazioni e spunti innovativi davanti ai nostri occhi così come dentro di noi. La costrizione a fare i conti con la (propria) vulnerabilità così come il riconoscimento dell’interdipendenza da cui nessuno è escluso sono due fattori in esplicita contraddizione con la narrazione capitalistica, supportata dal modello patriarcale, di invincibilità e individualismo. Saranno forse queste le crepe da cui muoverà i propri passi quel conflitto sociale imprescindibile per la trasformazione del reale?

I contributi

L’apertura della discussione su questi temi ha portato a raccogliere contributi che si interrogano su questi piani arricchendo il dibattito e spaziando dalla dimensione locale allo sguardo internazionale.

Colloca il proprio punto di vista nella dimensione locale del Veneto Giuseppe Acconcia, per cogliere come l’introduzione del Reddito di Cittadinanza ha inciso sul lavoro nella regione. Acconcia riporta una ricerca svolta intervistando 44 osservatori privilegiati per guardare dall’interno qual è stata la messa a terra di questa misura nel particolare contesto industriale veneto.

È con Roberto Ciccarelli che lo sguardo si allarga al contesto nazionale ripartendo proprio dal Reddito di Cittadinanza. Secondo l’autore, ciò che ci troviamo davanti è «un caso di rivoluzione passiva», una definizione a cui giunge analizzandone i presupposti sociopolitici e riportando al centro la precarizzazione del lavoro e delle vite.

Si concentra sul ruolo che giocano le soggettività oggi nel paradigma produttivista il contributo di Fatima Farina e Alessandra Vincenti. A partire da una discussione sulle “Grandi dimissioni”, le autrici pongono l’accento sulla qualità della domanda di lavoro odierna e su quanto dal lato dell’offerta, da anni costretta in equilibrio precario, comincino a fare da contrappeso alla necessità di guadagno altre dimensioni della vita.

Anche l’articolo firmato da Emiliana Armano, Cristina Morini e Annalisa Murgia focalizza lo sguardo sul rapporto tra precarietà, assurta a dimensione esistenziale, e soggettività, ma lo fa in senso contrario indagando quali ricadute ha la precarietà sulla produzione di soggettività incorporate.

Il contributo di Verónica Gago e Luci Cavallero permette un ulteriore scarto nella scala dimensionale guardando alla situazione internazionale. È il concetto di inclusione finanziaria quello che fa da filo conduttore alla riflessione delle autrici che parte dall’assunzione che la pandemia ha fatto sì che la casa fosse il luogo in cui testarla accanto all’intensificazione del lavoro non pagato.

A conclusione del percorso, e come ideale ricongiunzione al primo scenario che si apre su un’analisi nella dimensione locale, sono state affidate a Nicola Atalmi, segretario Slc Cgil Veneto una serie di domande, complesse e importanti alle quali risponde, facendosi a sua volta ricercatore, raccogliendo le voci dei colleghi impegnati presso lo Sportello dimissioni della Cgil trevigiana, per cogliere ulteriori sfumature delle trasformazioni in corso nel mercato del lavoro e nel tessuto sociale.

La recensione a cura di Marianna Benini del testo di Pascale Molinier «Care»: prendersi cura. Un lavoro inestimabile, tradotto dal francese e pubblicato dall’editore Moretti e Vitali nel 2019, contribuisce a completare questo seppur parziale spaccato sul lavoro contemporaneo. Il testo di Molinier esplora la dimensione della cura ed esamina la vulnerabilità e le implicazioni delle interdipendenze entro cui tutti e tutte noi viviamo, palesandone la dimensione di reciprocità sinteticamente riportata come «il care è cattivo se nuoce a chi lo fornisce» (Ivi: 128).

Conclusioni

Il dibattito pubblico intorno al lavoro, così come quello della politica istituzionale, ha continuato per anni a ruotare (quasi) esclusivamente intorno al tasso di occupazione. Questo è il dato che si legge e si commenta, quello che informa gli interventi pubblici e costruisce stigma e colpa contro chi resta tagliato fuori. Ma la realtà, come riportano le autrici e gli autori dei contributi che seguono, racconta altro, parla di una radicata – ormai ‒ trasformazione che porta lavoro e vita a sovrapporsi, fino a eclissarsi a vicenda. Parla di quanti si stiano scoprendo indisponibili al ricatto del lavoro capitalistico.

Che le “Grandi dimissioni” e il rifiuto di posizioni lavorative al di sotto delle soglie minime di accettabilità siano stati temi che hanno attraversato il dibattito pubblico mainstream negli ultimi mesi, pur nonostante i limiti con cui questo è stato fatto, ha portato a riaprire la discussione sul lavoro costringendo tutti a fare i conti con la dimensione pervasiva delle vite che esso impone.

L’intento di questa raccolta è problematizzare un quadro troppo spesso semplificato a uso e consumo di chi, in posizione di potere, beneficia delle interpretazioni dicotomiche della realtà: vita/lavoro, lavoro salariato/non salariato, produzione/riproduzione, ma anche lavoro/non lavoro. Andare oltre queste soglie e approfondire, scomporre, sfidare questi binomi serve ad aggiornare l’analisi delle trasformazioni del lavoro e mantenerla una categoria interpretativa della realtà funzionale a darne piena lettura.

Riferimenti bibliografici

Albert E., Thomas J., Cazi E., Hivert A-F., Guillou C. (2021). Logistique, hôtellerie, bâtiment… La grande pénurie de main-d’œuvre à travers l’Europe. Les entreprises du Vieux Continent peinent à recruter. Au-delà des conséquences logistiques et matérielles qu’il provoque, le phénomène transfère progressivement le pouvoir de négociation vers les salariés. Le Monde, 25 agosto.

Bonet M. (2021). Soldi, carriera, welfare, qualità della vita. I veneti cambiano lavoro. Dopo la pandemia le dimissioni sono aumentate del 5%. È fuga dalla sanità. Corriere del Veneto Padova-Rovigo, 28 novembre.

Coin F. (2021). Le “Grandi Dimissioni” contro la cultura tossica del lavoro che lacera l’esistenza e deteriora la salute di milioni di persone. Valigia Blu, 7 dicembre — <https://www.valigiablu.it/grandi-dimissioni-lavoro/>.

Del Re A. (2022). Care et citoyenneté. Atti del 33ème Colloque de la Laicité Molembeek-Saint-Jean « L’exigence démocratique – Quand citoyennes et citoyens donnent de la voix » — <http://www.faml.be>.

De Martino G., a cura di (2007). Stanchi del lavoro. Apologie dell’ozio. Napoli: Intra Moenia.

Fana M. (2019). Non è lavoro, è sfruttamento. Bari: Laterza.

Fana M., Fana S. (2019). Basta salari da fame!. Bari: Laterza.

Fumagalli A. (2013). Lavoro male comune. Milano: Mondadori.

Fumagalli A., Vercellone C. (2020). Il reddito di base sociale incondizionato (Rbsi) come reddito primario e istituzione del Comune — <https://www. questionegiustizia.it/articolo/il-reddito-di-base-sociale-incondizionato-rbsi- come-reddito-primario-e-istituzione-del-comune_28-04-2020.php>.

Ghidini S. (2021). Il caso Gkn spiegato dall’inizio e perché riguarda tutti noi. Ultima voce, 22 settembre — <https://www.ultimavoce.it/caso-gkn/>.

Giovannelli G. (2020). Una trasformazione radicale. Effimera. Critica e sovversione del presente — <http://effimera.org/una-trasformazione-radicale-di-gianni-giovannelli/>.

Istat (2022). Rapporto sulla povertà in Italia. 14 giugno — <https://www.istat.it/it/ files/2022/06/Report_Povert%C3%A0_2021_14-06.pdf>.

Jaffe S. (2022). Il lavoro non ti ama. O di come la devozione per il nostro lavoro ci rende esausti, sfruttati e soli. Milano: Minimum Fax.

Longo A. (2021). Un collettivo di fabbrica a prova di democrazia. il manifesto, 31 luglio.

Marazzi C. (2022). Il linguaggio del lavoro. Lectio magistralis in occasione del commiato dall’insegnamento presso il Dipartimento Economia Aziendale, Sanità e Sociale, Supsi – Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana, 24 maggio — <http://naufraghi.ch/il-linguaggio-del-lavoro-prima-parte/> e <http://naufraghi.ch/il-linguaggio-del-lavoro-seconda-parte/>.

Molinier P. (2019). «Care»: prendersi cura. Un lavoro inestimabile. Bergamo: Moretti & Vitali.

Morini C. (2022). Vite lavorate. Corpi, valore, resistenze al disamore. Roma: ManifestoLibri.

Parolari M. (2021). Natale a caccia del Covid: «Tanti di noi non accettano questo lavoro e si licenziano per il troppo stress». Corriere del Veneto. Venezia-Mestre, 21 dicembre.

Raitano M., Jessoula M., Pavolini E., Natili M. (2019). In-work poverty in Italy. Espn (European Social Policy Network). Brussels: European Commission.


[1]   Secondo quanto riportato dal Rapporto Istat sulla povertà in Italia riferito al 2021, la soglia di povertà per un adulto che vive solo in un comune centro area metropolitana del Nord è pari a 852,83 euro (Istat, 2022).

[2]  Le pubblicazioni relative al fenomeno delle “Grandi dimissioni” cominciano ad essere numericamente consistenti e hanno il merito di aver raccolto e analizzato i dati in tempo reale, sarà necessario osservarne lo sviluppo nei prossimi mesi e anni.

[3]   Per la situazione in Veneto, si veda ad esempio Parolari (2021).

Autori

Alisa Del Re, Bruna Mura, Lorenza Perini