Intervista a Nicola Atalmi – Segretario Slc Cgil Veneto

Per questo numero di ESR abbiamo intervistato Nicola Atalmi, segretario del Sindacato Lavoratori della Comunicazione di Cgil Veneto. Lo abbiamo incontrato nel pieno dell’estate 2022. Un’estate di crisi per l’Italia, con in parte alle spalle la pandemia di Covid-19 e davanti l’incerto profilarsi delle conseguenze della guerra in Ukraina. Abbiamo posto alcune domande ragionando insieme su uno dei temi fondamentali di questo volume, dalle grandi dimissioni al rifiuto del lavoro – un lavoro sottopagato, umiliante, in particolare per certe categorie di lavoratori/ici stagionali. Abbiamo chiesto quali sono i dati sul contesto veneto che si possono rilevare in questo momento così complesso e ci ha risposto con un testo scritto che qui di seguito riportiamo, articolato a più voci, che racconta esperienze diverse all’interno del sindacato, luogo che in questa congiuntura di crisi si dimostra essere fondamentale osservatorio sul cambiamento.

1. La via telematica alle dimissioni

A partire dal 12 marzo 2016, all’interno del famigerato Jobs Act del Governo Renzi, è stata resa obbligatoria la comunicazione telematica per le dimissioni dal posto di lavoro. Si tratta di un provvedimento volto in particolar modo a contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco, che venivano imposte alle donne lavoratrici per scongiurare periodi di maternità e che già un intervento legislativo della Ministra Fornero aveva cercato di contrastare senza successo. Oggi, le dimissioni possono essere presentate in modalità telematica sul portale del Ministero del Lavoro in autonomia dal lavoratore che però deve essere provvisto di Spid (Sistema Pubblico di Identità Digitale). E già su questo tema si apre un problema piuttosto vasto, che non possiamo ora affrontare in modo compiuto, riguardo il digital divide e le discriminazioni cui vengono sottoposti cittadini e cittadine, lavoratori e lavoratrici nel processo di disintermediazione digitale nei rapporti con la Pubblica amministrazione.

Nel processo, senz’altro auspicabile di modernizzazione dei rapporti con la Pubblica amministrazione, non si tiene evidentemente in considerazione una platea vastissima di cittadine e cittadini che non hanno gli strumenti tecnici e culturali per utilizzare in sicurezza e in modo efficace la propria identità digitale. Non ultime, ad esempio, le persone extracomunitarie che, per la pratica di cittadinanza si trovano oggi a non poter usufruire di alcuna assistenza presso i patronati. Infatti, a differenza di un tempo, quando ci si poteva rivolgere al sindacato, oggi è invece prevista solo la modalità digitale e la domanda va inoltrata utilizzando lo Spid. Ciò ha determinato un crollo sia delle domande presentate che di quelle accettate e il fiorire di intermediari e faccendieri che lucrano sulle difficoltà di lavoratori e lavoratrici.

Anche nel caso delle dimissioni telematiche dal posto di lavoro, quindi, se da un lato attraverso le tecnologie è data la possibilità di presentazione autonoma, dall’altro, a causa del basso livello di alfabetizzazione digitale (ma anche per la necessità di verificare la correttezza della procedura di dimissioni, in particolare in riferimento ai periodi di preavviso previsti dai singoli contratti), la stragrande maggioranza di chi intende dimettersi finisce per rivolgersi alle sedi delle organizzazioni sindacali.

Ciò ha aperto alla nostra organizzazione un osservatorio gigantesco sul fenomeno delle dimissioni e sul mercato del lavoro in generale: quasi 11.000 persone, ogni mese da inizio anno in Veneto, entrano in una sede sindacale per dimettersi dal proprio posto di lavoro. Il 50% in più dello scorso anno.

2. Dimissioni versus licenziamento

Il licenziamento è la nostra dannazione! Ogni giorno dobbiamo rispondere, cercando di non essere petulanti e scortesi, a chi si presenta nelle nostre sedi dicendo di essere lì per “licenziarsi”: la realtà è che le persone possono dimettersi, mentre il licenziamento è azione del datore di lavoro. Una distinzione che non è solo burocratica o linguistica, ma serve di solito a cercare di capire fin dall’inizio se queste dimissioni del lavoratore sono davvero volontarie e se il lavoratore è a conoscenza del fatto che dimettendosi non ha diritto alla Naspi (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego), l’assicurazione sulla disoccupazione. Sembra una sciocchezza ma il numero di persone che risponde: «No, il titolare mi ha detto che devo licenziarmi io», non è affatto residuale.

Noi cerchiamo di cogliere l’occasione offerta di incrociare lavoratori che molto spesso varcano per la prima volta l’ingresso di una sede sindacale, per fare il nostro mestiere di sindacalisti. Spesso si tratta di lavoratori poveri, marginali, immigrati o dipendenti di piccolissime aziende, che non hanno mai visto un delegato sindacale e non hanno mai avuto altra informazione che non fosse quella del datore di lavoro. Operando questo filtro iniziale, ad esempio a Treviso, siamo riusciti a scoprire un giro di caporalato nel lavoro agricolo gestito da una pseudo cooperativa di alcuni cittadini indiani. Al decimo straniero arrivato per dimettersi, perché «me lo ha detto il padrone» o perché «adesso sono malato, ma quando guarisco mi assume di nuovo» spiegavamo ‒ non senza fatica ‒ quali fossero i suoi diritti. Frattanto, annotavamo nei nostri registri la frequenza di questi casi legati alla medesima cooperativa e, in collaborazione con l’Itl (Ispettorato Territoriale del Lavoro), abbiamo dato avvio ad un’indagine che ha portato a processo per caporalato i responsabili.

Al netto di queste forme estreme di sfruttamento, ‒ o di casi che sono elusivi delle normali procedure di licenziamento che comportano un costo (il cosiddetto “gettone Naspi”) per il datore di lavoro, che cerca di aggirarlo con dimissioni forzose ‒, la quasi totalità, delle persone (più del 95%) che si rivolge a noi per dimettersi lo fa volontariamente e in modo piuttosto informato e consapevole. E sono lavoratrici e lavoratori di tutti i settori e di tutti i livelli.

Autori

Alisa Del Re, Bruna Mura, Lorenza Perini